Apollo e Marsia

L’opera viene realizzata negli anni ’40 del ‘900 quando Tamburi riceve l’importante incarico in cui gli viene chiesto di decorare degli spazi del Teatro all’EUR (e42) di Roma.
Il legame dell’artista jesino con il mondo del teatro ha le sue radici nella commissione pubblica romana del 1936 per la decorazione della Piscina coperta della Casa del Balilla nel Palazzo Ex-Gil di Roma. In questa occasione per la prima volta si trova ad affrontare uno grande spazio decorativo in cui organizzare scenograficamente una tematica ben precisa. Il risultato è l’avvio di un’intesa e ricca attività di commissioni da parte di teatri che lo richiedono come scenografo, come costumista oltre che per ricoprire alcuni ruoli da attore.
All’artista, oramai noto nell’ambito teatrale romano, viene così affidata la realizzazione di un rilevante ciclo musivo rappresentante la Storia del Teatro dalle Origini al Melodramma che avrebbe decorato l’atrio del Teatro dell’E 42 ; impresa artistica che lo impegnò per ben due anni.
Orfeo Tamburi progetta 6 pannelli di m 5,5 X 4,5 da eseguire a mosaico, in cui la storia del teatro viene divisa cronologicamente per periodi storici e generi teatrali.
Purtroppo i mosaici progettati non vennero mai realizzati a causa degli eventi bellici, restano però i cartoni definitivi e alcuni bozzetti riguardanti le singole scene progettate per i cartoni.
L’opera di Apollo e Marsia conservata in Pinacoteca è da ricollegare ad uno studio dell’artista sul mito greco, utilizzato poi per l’esecuzione del primo dei sei pannelli dedicato al Teatro Greco e Romano.
Il mito greco racconta la storia del satiro Marsia che trovando il doppio flauto inventato e poi ripudiato da Minerva, ne subisce la maledizione. Marsia, grazie al flauto “mitico”, incanta le divinità dell’Olimpo scatenando le invidie di Apollo, il quale sentendosi spodestato dal primato di dio della musica, sfida subito il suo rivale con la cetra.
Apollo, naturalmente, trova il modo per sconfiggere Marsia, costringendo il suo avversario a suonare lo strumento capovolto; impresa a cui può riuscire solo il dio Apollo con la cetra e non certo Marsia con il flauto. Le muse dichiararono la vittoria di Apollo e Marsia subisce la crudele punizione imposta da vincitore: legato ad un pino viene scorticato vivo. Orfeo Tamburi si mostra sensibile al racconto mitologico rielaborando più volte l’episodio in opere grafiche e pittoriche. Nell’opera conservata a Jesi, i protagonisti dominano la scena stagliandosi su di un scabro fondo celeste.
Secondo una tradizione iconografica Apollo con in mano la cedra sta in piedi, rivolto verso Marsia che seduto su di uno spoglio sgabello suona il flauto, causa del suo nefasto destino. Apollo nudo asessuato sembra meditare, con uno sguardo disprezzante, la condanna che infliggerà a chi ha osato sfidare l’armonia delle sue note, un pensiero che si concretizza nel coltello in primo piano. Marsia, privo delle caratteristiche caprine, suona seduto lo strumento a fiato, sommesso ed arreso al suo crudele destino. Lo scenario definito da una netta linea d’orizzonte chiusa da due quinte, si organizza per forme geometriche che lasciano pensare ad un eco della corrente cubista che l’artista più volte nelle sue opere sembra rievocare. Il blu degli spazi rettangolari in secondo piano si spingono fino allo spettatore collegandosi alla forma circolare del frutto arancione posto accanto al coltello. Le due forme geometriche divergenti intimamente collegate anche da un gioco di colori complementari, creano così lo spazio in cui, apparentemente isolati, i volumi plastici dei due personaggi mettono in scena la volontà degli dei. Il dramma classico si risolve così nel linguaggio novecentesco dell’artista che sapiente elabora l’orchestrazione degli spazi, l’equilibro della gestualità bloccata e la natura morta in primo piano.

Gallerie

Apollo e Marsia

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