Una domenica di memoria quella odierna per la città di Jesi che ricorda il 60° anniversario del 20 giugno 1944, quando sette partigiani furono trucidati dai nazi-fascisti nella campagna di Montecappone. Per l'occasione l'Amministrazione comunale e il comitato cittadino per la difesa delle istituzioni democratiche hanno organizzato due momenti commemorativi. Il primo nel tardo pomeriggio, a partire dalle 19, con la formazione di un corteo al bivio "Bellavista" di Montecappone e l'arrivo un quarto d'ora dopo al cippo martiri XX giugno dove l'on. Marisa Rodano terrà un breve intervento. Un pulmino farà tappa in piazza della Repubblica alle 18,15, presso l'Arco Clementino alle 18,30 e in via Roma alle 18,45 per accompagnare gratuitamente i cittadini nel luogo della commemorazione.
Il secondo momento commemorativo si terrà invece alle 21,30, presso il teatro studio San Floriano di piazza Federico II dove avrà luogo lo spettacolo realizzato dalla Cooperativa Culturale Jesina sulla seconda guerra mondiale e la resistenza attraverso i ricordi dei partigiani sopravvissuti. Emblematico il titolo: "Jesi 20 giugno 1944, cara mamma, caro babbo, carissimi tutti vi scrivo...". Alla stesura del testo hanno collaborato Doriano Pela e Luciano Taglianini, per la regia di Gianfranco Frelli. Lo spettacolo sarà interpretato da Milena Gregori, Francesca Tilio, Laura Pontoni, Lorenzo Barchetta, Simone Marani, Luigi Bini. L'ingresso è ovviamente gratuito.
Quello che accadde il 20 giugno 1944 è ancora vivo nel
ricordo dei più anziani: fu infatti il crimine più grave commesso
a Jesi dai nazifascisti con l'uccisione di sette partigiani. Ecco come lo ricorda
lo storico locale e giornalista Giuseppe Luconi nel suo libro "L'anno più
lungo".
"Sono all'incirca le sette di sera: in via Roma, all'altezza dell'edicola
del Crocefisso, una trentina di giovani sono seduti avanti casa e discutono
sui fatti del giorno. Improvvisamente arrivano tedeschi e fascisti, i quali,
dopo aver bloccato gli accessi della via, obbligano i giovani a mettersi in
fila e ad incamminarsi verso la villa Armarmi, in contrada Montecappone.
Si pensa ad una delle solite retate di uomini di lavoro, ma non è così.
Giunti alla villa, i giovani vengono rinchiusi nella brigata del colono Massacci,
perquisiti, minacciati, bastonati e rimessi in libertà: tutti, meno sette,
che una spia di Fabriano (una donna?) qualifica come partigiani.
Contro questi sette si accanisce la rabbia nazifascista. Vengono seviziati e
torturati a lungo: da lontano si odono le loro grida di dolore e di implorazione.
Riconosciuti come partigiani, vengono condannati a morte, senza processo. Agli
abitanti della villa e della casa colonica sono impartiti ordini perentori:
"Nessuno esca ed ogni porta e finestra sia serrata!".
Quando i sette vengono spinti in un vallone a circa duecento
metri dalla villa, sono irriconoscibili per le violenze subìte. Poi il
tragico epilogo: "una scarica di mitraglia ed i corpi cadono dalla ripa,
rotolando. Qualcuno si contorce, tra gli spasimi estremi chiama la mamma, invoca
Iddio". Allora vengono finiti "coi pugnali, coi calci dei fucili:
negli orecchi, negli occhi, sui petti". Più tardi, parenti e amici,
accorsi sul posto, provvedono alla loro sepoltura. Qualche mese dopo i resti
mortali saranno solennemente trasferiti nel Famedio; sul posto sarà collocata
una lapide. Dei sette fucilati, cinque sono jesini: Armando e Luigi Angeloni
muratori, rispettivamente di 25 e 18 anni, Francesco Cecchi e Alfredo Santinelli,
apprendisti, diciottenni, e Mario Saveri di 23 anni meccanico. Avevano aderito
ai Gap di via Roma.
Gli altri due sono Enzo Carboni di S. Eufemia di Aspromonte (Reggio Calabria)
e Calogero Grasceffo di Agrigento, entrambi ventenni ed entrambi carabinieri".
Jesi, 19 giugno 2004
L'Amministrazione comunale